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XX; 131 Seiten; zahlr. (auch farbige) Illustrationen; 27,5 cm; fadengeh., illustr. Orig.-Pappband.
Bemerkung:
Ein gutes Exemplar. - Italienisch. - Vorwort von Carlo L. Ragghianti. - ? una seconda classe del museo preistorico dovrebbe comporsi con gli specimen, in originale e in fac-simile, di quanto nelle tre età della pietra, del bronzo e del ferro operarono i primitivi abitatori non solo del resto d'Europa, ma possibilmente d'ogni paese d'oltremare". Infine "resterebbe a completare l'opera con una terza classe, quella cioè degli oggetti fabbricati da popoli selvaggi e barbari viventi" perché, continua il Pigorini, "abbiamo oggi ancora, nella infinita varietà delle numerose famiglie sparse nel globo, ritratte al vivo le costumanze e le arti delle popolazioni preistoriche di ogni età, perché gli usi loro e il grado del loro sviluppo materiale e morale corrispondono alle maniere di vita e al grado di sviluppo ora dell'uno, ora dell'altro dei popoli primitivi "(21). Anche se le teorie esposte sono oggi superate e contraddette dalle nuove acquisizioni scientifiche che assegnano validità e compiutezza ai processi di sviluppo storico dei popoli impropriamente chiamati "primitivi", processi portati avanti secondo scelte autonome rispetto a quelle operate dai popoli europei, è illuminante un confronto della lettera dello studioso italiano con la "Lettre sur l'utilité des Musées ethnographiques et sur l'importance de leur création dans les Etats européen qui possèdent des colonies", indirizzata da De Siebold trent'anni prima a Jomard(22), nella quale l'autore espone il suo indirizzo pragmatico e francamente colonialista. La lettera, "nel dubbio che non giungesse a destinazione o si smarrisse negli archivi(23), fu portata personalmente dal Pigorini al Ministro il quale, accompagnato immediatamente lo studioso al Collegio Romano, gli "assegnò un breve spazio per iniziare le collezioni". Il Museo, istituito con decreto reale il 29 luglio 1875 (24) fu inaugurato il 14 marzo 1876 con molto entusiasmo e pochissime opere. Prima preoccupazione del nuovo direttore fu quella di raggruppare a Roma gli oggetti sia preistorici che etnografici dispersi presso i vari musei, università e istituti culturali del Regno. Un invito a inviare il materiale al museo di nuova istituzione fu formulato dal Direttore Generale dei Musei e degli Scavi di antichità (25), invito ripetuto successivamente ogni volta che l'infaticabile Pigorini segnalava nuovi reperti, e i cui primi risultati positivi sono già registrati nella la relazione sulla situazione del Museo del 1881. Sotto forma di donazioni e di acquisti confluirono nel primo cinquantennio di attività del museo la gran parte degli oggetti etnografici in esso conservati. Nel 1883 fu acquistata da Maria Gessi la collezione costituita tra il 1874 e il 1880 dall'esploratore Romolo Gessi nelle regioni del Nilo Bianco composta da oggetti sudanesi e congolesi rari e di grande interesse. Nel 1887 fu la collezione Brazzà-Pecile a entrare nel Museo con le due figure da reliquario dei Kota (n. 255, 256) raccolte da Attilio Pecile e Giacomo Savorgnan di Brazzà, fratello dell'esploratore del Gabon e dell'attuale Repubblica Popolare del Congo, e quindi da considerarsi tra i primi oggetti gabonesi giunti in Europa. Sempre nel 1887 fu acquistato l'imponente gruppo di oggetti etnografici raccolti prevalentemente alla foce del Congo da Luigi Corona comprendente tra l'altro i due Min-tadi (n. 263, 268). Ancora di provenienza congolese, ad eccezione del complesso delle suppellettili dei Rotse raccolte da Luigi Falla all'inizio del secolo, furono le collezioni più importanti acquisite tra il 1900 e il 1922: le raccolte Angeli e Pratesi con oggetti Kongo e Yaka, Falcetti (Luba), Verdozzi e Roselli-Lorenzini (Kongo), Tagnini (Lega) e Ricciardi (popolazioni diverse dello Zaire), mentre scarsi furono gli apporti dalle altre regioni africane. Nel 1913 l'imponente raccolta del fiorentino Enrico Hillyer Giglioli arricchì in modo notevole il patrimonio del Museo "L. Pigorini" (circa 17.000 oggetti tra preistorici e etnografici); la sezione africana, meno ricca delle altre, conteneva però, oltre a oggetti meno importanti, i due cucchiai in avorio afro-portoghesi di provenienza medicea cui si è accennato in precedenza, due teste Ekoi (n. 251, 253) (26) e la bellissima insegna di danza Luba (n. 403). ? (XVIII)